Oluko

Sono venuti a prenderci. Un piccolo comitato di benvenuto che ci accoglie come se ci fossimo lasciati appena ieri. Caricano tutti i nostri bagagli su un vecchio pick-up polveroso e ci accompagnano verso “casa”.

La strada verso Oluko è un disastro di bumps invisibili, polvere rossa e buche che sembrano crateri.

Attraversiamo una campagna già secca, fatta di colline che si rincorrono verso la foschia dell'orizzonte, di gente colorata che si muove a piedi, fermandosi a guardarci passare, di bambini che ci salutano, di capre libere, mucche, alberi di teak...

Oluko è un grande patchwork di tanti minuscoli villaggi fatti di poche capanne ciascuno. Capanne nere, rotonde, con tetti di paglia a punta; ce ne sono tantissime, sparpagliate a gruppetti ovunque. I confini sono talmente impercettibili che sembra che Oluko non abbia un inizio né una fine.. è come un'entità astratta.

La parrocchia è una specie di cuore pulsante, un grande spiazzo ombreggiato dai larghi ombrelli delle acacie, su cui si affacciano una chiesa scortecciata color pastello, una scuola per i seminaristi, una sala per accogliere la gente durante gli eventi e la casa dei preti, ovvero casa nostra. Siamo arrivati.

Mi sembra ancora impossibile pensare che, nonostante la mia avversione naturale per tutto ciò che è "Chiesa", passerò tutto questo tempo proprio in una parrocchia (purché africana e di preti africani...). Ma per l'Assos è la regola. Appoggiarsi a strutture cattoliche pare sia l'unico modo per garantire che i soldi vengano utilizzati in modo corretto e non si dissolvano improvvisamente come per magia.

Ci proverò. Sono talmente felice di essere di nuovo qui che forse potrò farcela...


Nessun commento: