Disco

Oggi è festa nazionale: anniversario dell'elezione di Museveni. In giro c'è un gran movimento, sembra che tutti abbiano voglia di festeggiare. Stasera niente stelle, “si esce”! Ci hanno detto che a poco più di un chilometro dalla parrocchia c'è una discoteca, anche se sembra impossibile immaginarne una in mezzo alla campagna.

La luna non è ancora sorta e noi ci incamminiamo un po' incerti nel nero totale. La strada è, come sempre, popolata di persone che si muovono silenziose, sicure e invisibili in mezzo al buio. Accendere la tua piccola torcia da Musungu ti fa sentire un perfetto imbecille e rinunci in partenza. Ma dopo qualche buca a tradimento e qualche sasso di troppo, pian piano gli occhi si abituano al buio... ed è bello sondare l'oscurità affidandosi all'istinto. Purtroppo però i risultati sono un po' scarsi e non “sondiamo” abbastanza per prevenire l'arrivo di un pazzo su una bici lanciata a tutta velocità, che per poco non ci travolge (Semplicemente impossibile capire come riesca a correre nel buio, senza sfracellarsi dentro una di quelle buche).

Nonostante tutta la tua calma interiore, quella piccola punta di inquietudine da pregiudizi culturali ben radicati si fa sentire: in fondo sei pur sempre in mezzo alla campagna africana, al buio, senza che nessuno sappia dove sei, con gente che ti passa accanto...

Ci avviciniamo ad un gruppetto di persone che stanno camminando verso di noi, per chiedere informazioni. Il buio ci nasconde, forse non si vede che siamo bianchi, e quando arriviamo più vicino e proviamo a chiedere qualcosa, loro ci vedono, cacciano un urlo e scappano!

(Ovvero: la relatività dei punti di vista...)

Tra la strada e i campi c'è una costruzione fatta coi soliti mattoni di fango; si paga l'ingresso affacciandosi ad una specie di buco illuminato da una candela (1000 scellini. Circa 40 centesimi. Con tanto di classico timbro sulla mano). Dentro è quasi buio, ci sono solo un paio di lampade di Wood. Il generatore è ovviamente dedicato tutto alla musica, che è fortissima. Un pavimento di terra battuta scende a scaloni verso la pista, che è sempre di terra. Dall'altra parte si intravede un grande albero, e non si capisce bene se sia stato inglobato nella costruzione oppure manchi semplicemente una parete. Il soffitto è fatto con rami e teli di plastica.

C'è anche il bar: piccole cassette di legno rovesciate, disposte in fila lungo le pareti buone. Su ognuna di esse ci sono un lumino a petrolio, un paio di bottiglie di alcool fai-da-te di un infido color giallo sporco, 5/6 bicchieri di vetro e una bacinella d'acqua in cui sciacquarli.

La gente è tanta, ballano tutti, e sono meravigliosi... Musica locale, che ti prende direttamente dai piedi e ti rende impossibile stare fermo.

La presenza solida di Gianluca rende più facile tenere a bada le mani sguscianti degli uomini che ballano con noi, ma nel frattempo il micidiale alcool fai-da-te continua a dare i suoi bravi frutti sulla gente, e il livello di lucidità collettiva si abbassa sempre di più... Al primo accenno di rissa siamo fuori da tutto in 5 secondi netti.

Torniamo verso casa, sotto una luna bassa appena sorta.


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