Matatu

Ultime ore di Moyo.
Stamani ci siamo svegliate presto, siamo andate dai bambini, che già ci aspettavano. Li abbiamo aiutati a vestirsi per andare a scuola, come le altre mattine. Calzini, scarpe, divisa rosa.....
Li abbiamo salutati mentre si allontanavano dal cortile, in fila indiana. Nessuna di noi due ha voluto provare a spiegare che stavamo partendo. Inutile. Abbiamo fatto finta di nulla: un ciao con la mano, sorrisi, qualche abbraccio, e via. Dentro era uno strappo, un senso di abbandono definitivo.
Sister Maureen ci ha accompagnate al matatu, il mezzo pubblico più comune in Africa.
E' un piccolo pulmino-taxi che viene riempito fino a quando persone e bagagli non strabuzzano di fuori ma che, se hai la pazienza di aspettare, ti porta praticamente in qualunque luogo tu desideri andare.
Ovviamente non esiste un orario di partenza, visto che il matatu parte soltanto quando il “buttadentro” (socio dell'autista) riesce a garantire che tutti i posti disponibili, e anche qualcuno in più, siano occupati.
Maureen resta con noi per tutto il tempo dell'attesa: vuole essere sicura che riusciamo a partire. Stamani ha chiamato il fratello, perché si occupasse di contrattare il prezzo dei biglietti per noi e ci assicurasse due “buoni” posti (subito dietro all'autista, dove non sei costretto ad alzarti ad ogni fermata). Siamo riuscite addirittura ad incastrare i bagagli tra di noi, evitando così di legarli sul tetto ed abbandonarli al loro destino...
E' difficile fare finta di niente, siamo buie, Raffa piange; è dura lasciare quel posto, quei bambini, e quella donna tonda e dolce, fedele e guerriera, che ci ha fatto anche un po' da mamma e che ci resterà addosso a lungo.
Ci concentriamo sugli strani eventi che circondano il matatu. Non riusciamo a capire molto ma c'è del comico.
Gente che arriva, contratta, urla, poi ride, poi si strattona, carica galline e bagagli sul tetto, si sistema, poi scende di nuovo, contratta ancora, litiga, scarica tutto. E poi ritorna. Per contrattare ancora, discutere, sistemare bagagli...
Qualcuno litiga perché non ha spazio per la propria stampella. Qualcuno urla perché vuole ASSOLUTAMENTE tenere la sua borsa con sé e si rifiuta di legarla sul tetto: tafferugli, mani che tirano la borsa dal finestrino, battaglie verbali...
Noi siamo sedute dentro: unici due piccoli punti fissi in mezzo ad un volteggiare scomposto di persone. Tutti gli altri sono saliti e riscesi e poi risaliti almeno una quarantina di volta. Qualcuno di loro ha cambiato volto, i passeggeri sono stati sostituiti.
Alla fine, dopo più di due ore, partiamo. Siamo in 21 in un pulmino omologato per 14. I bambini in collo alle mamme, gli altri pigiati come sardine. Il buttadentro non ha neanche uno spigolo per sedersi, deve farsi tutto il viaggio incollato alla porta scorrevole laterale, con la schiena ripiegata contro il soffitto, o accucciato tra le gambe degli altri.
Per fortuna non credo abbia il tempo di accorgersene, visto che ad ogni fermata deve scendere e contrattare di nuovo da capo con i nuovi passeggeri.
Già, perché ognuno può scendere dove vuole, e da quel momento in poi scatta la caccia al cliente che rimpiazzi il posto vuoto. Altre discussioni, altre mezz'ore, soldi che passano di mano, toni accesi e urla, seguiti da risate e pacche sulle spalle... Mah!.
Persone scendono, persone salgono. Il matatu si svuota e si riempe di nuovo ogni volta.
Si riparte. Il buttadentro chiude la porta scorrevole ed ecco che il vetro esplode letteralmente in frantumi (per fortuna verso l'esterno). Lui non muove un pelo. Accosta di nuovo la porta, come se nulla fosse, e si riparte. “Succede...”
Il primo vero “paese” ha una specie di grande parcheggio per i matatu. Prevedono una sosta di mezz'ora. Io ho fame, o forse ho voglia di distendere le gambe, o forse sono solo stupidamente curiosa.... ma scendo, in cerca di un paio di chapati caldi all'uovo e dell'acqua fresca.
Non prendo il cellulare (“a che mi serve?”).
I banchetti sono un po' distanti, ma in un quarto d'ora al massimo torno trionfante verso il parcheggio....
... e il matatu non c'è più.
Non ho neanche il tempo di riflettere, che mi vedo arrivare incontro un tipo molleggiato che mi dice di seguirlo, che il matatu si è dovuto spostare e che mi stanno aspettando.
Lo seguo, all'inizio perplessa ma fiduciosa. Ma mentre il tempo passa e le svolte a destra e a sinistra si susseguono ecco che un tarlo comincia a rodermi: chi è questo? Dove stiamo andando? Come rintraccio Raffa? Come cavolo ho fatto a cacciarmi in questa situazione così stupida?
Comincio a far frullare il cervello con le ipotesi. Immagino che il matatu sia già ripartito, che Raffa non sia riuscita a far scaricare i bagagli e sia rimasta a bordo provando a chiamarmi, invano, sul cellulare... Faccio il conto di quanti soldi ho in tasca, di dove posso andare, se vale la pena tentare di cercare un altro matatu (magari tocca aspettare domani) o provare a cercare un modo per telefonare (chissà come). “Ma il numero chi se lo ricorda???”
.....
Fino a che ecco comparire il mio matatu dietro l'ultimo angolo....
Ecco, il tipo era sincero. E io sono stata malfidata. Mi sento ancora più stupida.

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