Invito a pranzo

Una delle sorelle di Sister Maureen ci aspetta per pranzo. E' strano questo alone di attenzione che ci si crea attorno, imbarazzante. E stavolta non c'è dietro nessun (sacrosanto) interesse personale, nessuna voglia di raccontare disagi, di chiedere e di ottenere qualcosa. Ora siamo semplicemente l'evento, il poter dire a tutti “ho avuto due Mundru a pranzo in casa mia!"...

Lasciamo la jeep e arriviamo dentro il villaggio a piedi, lungo un piccolo sentiero.

Ci sono una ventina di capanne e qualche capannette-latrina. La sorella di Maureen è chiaramente ciò che si definirebbe una “benestante”. Ha ben tre capanne, una per sé e per il marito, una per i figli maschi e una per le figlie femmine. E addirittura una cucina a parte, con dentro diversi bracieri di terra battuta.

Seguiamo Maureen in silenzio, accenniamo sorrisi e stringiamo mani, in quel modo africano così buffo... i palmi si incontrano per un attimo, poi vanno a stringersi attorno al solo pollice dell'altra mano, per poi incontrarsi ancora e serrare la stretta, magari enfatizzandola con la mano libera appoggiata sul proprio polso....

Per entrare nella capanna ci togliamo le scarpe e appoggiamo i piedi sulla terra dura, calda. I piedi nudi hanno immancabilmente lo stesso pacificante effetto di rallentare il tuo ritmo e rendere tutto più naturale. Entriamo. L'interno è completamente inaspettato. Di solito le capanne sono spoglie, non c'è niente dentro a parte qualche stuoia, un fornello, qualche stoviglia e qualche gallina. Ma non avevo ancora mai visto le capanne dei ricchi... è come guardare uno strano contenuto dentro un contenitore inadatto. Le pareti e il soffitto sono completamente rivestiti di teli bianchi e il pavimento è coperto di stuoie. La stanza è divisa in due parti da una fila di tende, ma la cosa più strana e che ci sono mobili: due letti da una parte della tenda, e il tipico divano-da-pranzo-con-panchetti dall'altra. Accanto al letto, una moto. Dal soffitto pendono immagini di santi e di martiri, insieme a cartoline di babbo natale...

Ci sono addirittura gli immancabili fiori finti.

Il menù è il solito delle grandi occasioni: ignassa, fagioli, riso, verdure alle noccioline, maiale, patate dolci, ananas, banane. Solo che tutto è in quantità industriale. E ti devi strafogare, per forza, altrimenti non capiscono, pensano che non ti piaccia... si offendono. Quindi ci ingozziamo, mangiando ovviamente tutto con le mani (facendo finta che sia ok sciacquarsele a malapena in una bacinella, senza sapone, dopo una mattina all'ospedale...), fino a stramazzare sul divano.

Poi restiamo lì, nel silenzio e nel dilatarsi del tempo, non so quante ore. C'è un'atmosfera di pace, di lentezza, di solidità antica. I figli, che non avevamo ancora conosciuto, sono andati a lavarsi e si sono messi i vestiti migliori per entrare da noi nella capanna.

Siedo per terra, mentre Maureen ci racconta storie del villaggio e le sue nipoti mi toccano i capelli incredule, intrecciandoli, chiedendo alla mamma se davvero non sono finti... La sorella di Maureen non parla inglese, e questo rende tutto ancora più lento. Mentre aspetta paziente le traduzioni, infila perline per noi, facendoci delle collane...

Poi arriva il glorioso momento di Peace, che si sveglia piangendo, nella sua culla accanto alla moto. E' nuda e ha i tipici fili di perline colorate attorno a collo, vita, polsi e caviglie. Viene lavata in una bacinella e poi imburrata e massaggiata con la margarina (!), dalla testa ai piedi (Dicono che serva come idratante...Non ho dubbi, ma così sembra quasi pronta per lo spiedo!).

La mamma vuole un ricordo di quel giorno, ci chiede di battezzare Peace con un nome cristiano.... Mio Dio, vorrei scomparire.... 5 lunghi minuti di panico! San Francesco.... Francesca! Mah, banale....


Vorrei restare in quella capanna almeno un paio d'anni.

Ma ce ne andiamo, prima del tramonto, con le nostre collane di perline e un piccolo groppo di nostalgia che si gonfierà nel tempo.

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