La grande festa

Father George solitamente è una meteora. Sparisce la mattina e ritorna la sera, sempre preso dai suoi giri e dai suoi impegni: un matrimonio di qua, un funerale di là, visite ai villaggi, parole ai malati, cerimonie...
Non ci ha mai chiesto di seguirlo. Ieri però ci ha sorpreso con un invito. E fra l'altro un invito di quelli che, dal tono con cui vengono posti, non ammettono rifiuti.
Però è stato vago, quasi misterioso; non ci ha spiegato niente, ha solo parlato di una qualche “festa ad un villaggio per la nomina di una nuova suora”.
La sera, Raffa e io ci siamo infilate sotto la zanzariera con un misto di curiosità e preoccupazione, preventivando già interminabili ore di messa e chissà quali pallosissime cerimonie liturgiche.
La mattina ci alziamo molto presto. A giudicare dalle folle di suore che continuano ad arrivare si direbbe che sia un'occasione molto più “mondana” di quanto pensassimo. Pare che siano invitati proprio tutti-ma-tutti.
Il pick-up di George è stato caricato di persone come solo qui è possibile fare. Saranno almeno una ventina. Noi lo seguiamo con la nostra jeep, e un sedile posteriore ricoperto di suore strizzate, in abiti celesti. Ridono come matte...
La strada è - incredibile ma vero - ancora peggiore di quella che arriva a Oluko. George ovviamente fila via come un razzo, e io non posso fare a meno di sudare e stringere gli occhi ad ogni cratere di roccia superato, pensando ai quintali di suore che abbiamo stipato dietro.
Strada facendo, George si ferma in altri villaggi a far salire qualcun altro, giusto per riempire chissà quale impercettibile vuoto rimasto. Li incastra come un puzzle.
Riki è lontano: un posto sperduto in mezzo alla campagna arida. Cominciamo a capire che ci stiamo avvicinando solo dalla quantità di gente che sempre di più affolla le strade: un fiume festoso di grida, canti e colore, che scorre sempre più forte verso la collina.
Molte donne sono vestite di bianco e agitano fronde d'albero sopra la testa.
Sembra che stia spuntando gente da ogni cespuglio secco.
In cima alla collina c'è una chiesa, ma è vuota. Tutto il contenuto, panche, crocifisso e altare compresi, è stato riversato fuori, dentro una specie di grande recinto improvvisato per l'occasione mettendo insieme rami, fronde secche e pezzi di plastica.
C'è tantissima gente, e tutti hanno addosso il loro “vestito buono”. L'effetto è disorientante...
C'è un'eccitazione così forte che sembra di toccarla. Gli uomini siedono per terra e suonano i tamburi tutti insieme, fortissimo, in modo diverso che in chiesa. Molte donne ballano. E' una danza “selvaggia”, fatta di urla e di salti verso l'alto. Viene voglia di buttarsi nella mischia, ma ci sentiamo troppo estranee per farlo.
Poi arriva il vescovo. Ed eccoci alla tanto temuta messa. Qui di solito le messe sono molto belle... forse per la musica e i canti, o forse perché non si capisce una parola. Ma questa volta i discorsi si susseguono uno dietro l'altro per molto più tempo del solito... e io mi addormento sulla panca. Vengo bruscamente risvegliata dallo stupore quando George ci chiama in piedi in mezzo al recinto, per presentarci alla comunità di Riki... Applausi e imbarazzo.
Dopo la cerimonia George ci annuncia con un mezzo sorrisetto che andremo a pranzo a casa di suor Anastasia e poi torneremo qui per la FESTA. Ci infiliamo con le jeep attraverso i campi, seguendo un sentiero inesistente in mezzo a banani, manghi, capre e capanne. La casa di Anastasia è una specie di oasi più verde, alla base di una piccola collina. Ci sono diverse capanne, ma soprattuto c'è una sorgente, che consente alla famiglia di avere un orto molto grande.
La stanza è piena di suore... poi ci sono il vescovo con la sua segretaria e una enorme donna ministro, originaria della zona, inguainata in un abito di paillettes rosa (sembra incredibile, qui gli abiti “buoni” sono tutti uguali: stesso taglio, stesse paillettes, stesso gusto estremamente kitch... cambia solo il colore). E soprattutto c'è una quantità di cibo imbarazzante. Il nostro turno per riempirci il piatto stavolta è fortunatamente sceso in terza posizione, dopo vescovo e ministra. Raffa ha la sventura di incappare nel terribile stufato di capra, ovvero pezzi di ossa con una carne così dura e nodosa che i nostri denti poco allenati non sono in grado di dilaniare. Così scatta la “missione osso di capra”: io dovrò distogliere l'attenzione del vescovo, delle suore e della padrona di casa mentre Raffa si impossesserà del corpo del reato, nascondendolo in un fazzoletto per il naso, e se ne uscirà sommessamente nell'aia, in cerca del cane...
Subito dopo pranzo, con lo stufato di capra ancora in bilico all'imboccatura dello stomaco, ecco di nuovo una schiera di suore in abito azzurro pronte per colonizzarci la jeep e tornare alla festa.
Purtroppo i (molti) bambini della casa vogliono salire con noi e, con uno scambio di sguardi scaramantico, decidiamo di farli salire dal portellone del portabagagli.
Non voglio sapere quanti siamo dentro quella macchina, ma pare che ci stiamo tutti. Ok, metto in moto, ingrano la prima.... e la macchina non si muove. Niente da fare, non ne vuole sapere.
Qualcosa mi dice che abbiamo un enorme problema, ma provo ad essere rilassata. Scendo, mi accuccio sotto, guardo... e scopro che l'asse di trasmissione si è staccato e ciondola per terra!
Il vescovo e George sono già partiti e non abbiamo modo di avvertirli.
Vorrei morire.... E ora? Come facciamo ad andare al villaggio? Come possiamo lasciare la macchina incustodita in mezzo ai campi? Potremo ripararla? Come facciamo a portarla fino in città? E soprattutto: chi lo dirà a Gianluca???
Ovviamente, sembra che io e Raffa siamo le uniche ad agitarci (mamma mia, questi occidentali quanto sono psicotici...). Gli altri sono super-rilassati e sorridenti come sempre: “Che problema c'è? Lasciate la macchina qui, è al sicuro. Andiamo al villaggio a piedi, ci godiamo la festa, e poi domani, con molta calma, portate qui un meccanico dalla città...”. In effetti, non c'è molta scelta, l'unica cosa che possiamo fare è seguire il suggerimento e cercare di rilassarci. Mi oraku...
Arriviamo tardi, e purtroppo ci siamo perse le danze dei bambini in gonnellino di paglia. Ma il recinto è irriconoscibile, si è completamente trasformato. Non è più una “chiesa da campo”, ma una specie di Casa del Popolo primordiale. Le panche sono scomparse e il recinto è pieno di gente seduta per terra a mangiare. Nel mezzo ci sono due enormi tavoli pieni di cibo: oggi tutti quanti possono mangiare gratis e, a giudicare dagli occhi di molti di loro, questo è davvero un regalo grande. Dobbiamo mangiare ancora anche noi, e vorrei tanto avere uno stomaco di riserva,o un sacchetto in cui vomitare per poter ricominciare da capo.
Mi alzo e vado a farmi un giro fuori dal recinto, lungo un sentiero in mezzo ai campi, giusto per far scendere un po' i fagioli. C'è un cielo pazzesco, uno di quei cieli che si vedono solo in Africa, di aria limpida e orizzonti lontani, di raggi di sole e nuvole cupe. Sta diventando tutto nero e si sta alzando un vento polveroso; odore di bufera.
All'abbuffata collettiva segue la cerimonia delle offerte, con cui la popolazione esprime il proprio augurio ad Anastasia (pare che da queste parti diventare suora sia davvero una roba seria...) offrendo ciascuno un piccolo regalo. Grazie ad un generatore un paio di casse diffondono musica africana a volume supersonico e la gente scorre davanti a noi, in file ora ordinate, ora scomposte, chi offrendo monete, chi frutta, chi sacchi di farina, chi caprette vive e addobbate con cenci colorati. Fanno la fila ballando, e ballano proprio tutti: uomini, vecchi, bambini, donne con i loro piccoli neonati infagottati dietro la schiena. Continuano a scorrerci davanti per ore, saltando, ballando e gridando. Non smettono neanche quando comincia a piovere, anzi gridano ancora più forte, per scavalcare il rumore della pioggia.
Verso l'imbrunire, quando le offerte sono finite, alla musica si aggiungono i tamburi. E il ritmo cresce sempre di più, così come l'eccitazione collettiva. Quello che prima era lo spazio di fronte all'altare si è trasformato in una specie di polverosa pista su cui tutti stanno saltando come pazzi. Addirittura una suora, seduta accanto a noi, si alza all'improvviso e, con un piccolo sorriso leggermente colpevole, si mette a correre verso la polvere e comincia a saltare insieme agli altri.
Guardarli è come una droga. Alla fine non resisto più, mi alzo anch'io e mi butto in mezzo a loro, salto con loro. E dalle loro grida nasce un boato! Mi guardano e mi sorridono tutti, mi battono le mani...Sono contenti, forse la vivono come una forma di condivisione più profonda.
Resterei a ballare con loro tutta la notte, ma George sembra preoccupato, dice che quando gli animi si scaldano troppo e l'alcool entra in circolo è meglio essere prudenti. Non gli credo molto, ma siamo comunque costrette a seguirlo di nuovo a casa di Anastasia. Già, perché ora ci aspetta la CENA!!
Stessa casa, stessa scena, stessi ospiti, stessa abbuffata. Solo che ora nell'aia ormai completamente buia è stato acceso un generatore e c'è musica! Ancora musica! E tutti i parenti e gli amici di Anastasia stanno ballando! Inutile dire che appena riusciamo a liberarci del piatto ci catapultiamo fuori a ballare con gli altri, fregandocene altamente di ciò che suggerirebbe l'etichetta e del fatto che il vescovo possa approvare o meno la nostra mossa.
Balliamo e balliamo e balliamo, praticamente al buio. C'è anche la segretaria del vescovo! Sembrano tutti così felici di vederci ballare con loro... non la smettono più di farci sorrisi e i bambini ci saltano intorno, prendendoci per mano.
E' dura andarsene. Abbandoniamo la macchina al suo destino, nel buio di quell'aia, ma non voglio pensarci ora, ci sarà tempo domani.
Raramente mi sono sentita così “piena” e forte in vita mia.

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