Un'invisibile linea sul Lago Vittoria

E' prestissimo, ancora buio, e sto viaggiando verso il Lago Vittoria a bordo dell'auto di rappresentanza dell'ambasciatore, da sola con il suo autista personale.

Non ho potuto evitarlo. E' stato l'ambasciatore stesso che ieri sera, mentre mi sentiva chiedere informazioni a Luca su come raggiungere il Parco da cui prendere la barca per l'isola degli scimpanzé, si è voltato e ha detto senza troppi fronzoli:

Domattina il mio autista ti aspetta in giardino alle 5.30. Puoi chiedergli di tornarti a prendere nel pomeriggio”. La reazione di Luca mi ha fatto intendere che era un gesto di grande riguardo: impossibile dire semplicemente: “No grazie, faccio da sola....”.

Ora, un senso di colpa misto a sollievo. In effetti, mi sarebbe stato impossibile arrivare dall'ambasciata fino al lago a quest'ora. Non ci sono matatu, non ci sono boda-boda, i taxi arrivano solo se chiami il tassista sul cellulare (e ieri sera era tardi e non ci ha risposto nessuno...).

L'autista è molto dolce, simpatico; durante più di un'ora di viaggio, mentre l'alba sale sulle capanne della periferia e poi finalmente sull'acqua del lago, mi parla di Kampala e dell'ambasciatore (lui ovviamente ne ha un'opinione altissima...). Quando mi lascia di fronte all'ingresso del parco non riesce assolutamente a capire per quale motivo io continui a rifiutare la sua offerta di tornarmi a prendere nel pomeriggio. Alla fine cede, ma non prima di avermi messo tra le mani il numero di cellulare di Tom, un suo caro amico tassista, e avermi fatto promettere che lo chiamerò (cosa che, ovviamente, non ho la minima intenzione di fare. A costo di cambiare 4 matatu diversi...).

Sono all'Uganda Wildlife Education Centre di Entebbe, una specie di parco zoologico che gestisce anche le visite all'isola degli scimpanzé di Jane Goodall. Sono decisamente molto in anticipo e Raffa non c'è: è rimasta in città a lottare per il suo biglietto aereo, ma sono contenta che abbia insistito per farmi sentire libera di venire lo stesso. Ho bisogno di un assaggio di pace, prima di tornare in Italia e affrontare tutto di nuovo. Ho bisogno di stare da sola.

E poi in un angolino di me c'è quel sottile prurito dell'essere stata così terribilmente vicina a poter vedere finalmente i tanto desiderati gorilla di montagna.... senza averlo potuto fare (né voluto, visto che 500 dollari per un'escursione di un giorno in foresta, dopo quello che abbiamo visto, è un controsenso troppo forte).

Il sole è ancora basso e il lago è bagnato di nebbia. Faccio un giro lungo la spiaggia: un'orgia di aironi, garzette e zanzare. Tante piccole canoe scavate nei tronchi oscillano sotto magri pescatori che lanciano le proprie reti nell'acqua, come grandi coperte per il lago freddo.

Sono talmente in anticipo che ho il tempo per farmi anche un giro dentro al parco. Non c'è ancora nessuno e le scimmie saltano libere sulle panchine, urlando come pazze. Qualcuna mi lancia addosso frutta dal folto degli alberi.

Il nostro “mezzo” è una minuscola bagnarola di metallo, a motore. Siamo in 4, un canadese e due americani. Giubbotti di salvataggio obbligatori (anche se immagino siano completamente inutili per salvarsi dai coccodrilli...).

Dopo un'ora e mezzo di navigazione arriviamo all'isola. Jane Goodall ha istituito quest'area protetta per accogliere gli scimpanzé orfani e incapaci di reinserirsi nel loro ambiente. Qui possono vivere in un contesto seminaturale: un'intera isola di foresta a disposizione, niente predatori, niente deforestazione, niente bracconieri, e un piccolo sostegno per procacciarsi il cibo. Unico prezzo da pagare: i pochissimi turisti ammessi nell'arco di una giornata possono percorrere un breve percorso nella foresta e interagire con loro. D'altra parte questo è l'unico modo per garantire l'autosostentamento del parco...

Qualche capanna di paglia per mangiare e prendere il tè, un paio di tende in riva al lago immerse nel volo di migliaia di piccoli uccelli tessitori, e nient'altro. C'è una pace assoluta.

Non so cosa darei per restare almeno una notte. Invece domani sarò irrimediabilmente in Italia.

Al ritorno siamo solo in due, io e il canadese.

Passiamo davanti a un'isola di pescatori. Baracche di lamiera, barchette accatastate, pesce secco, gente disperata e nient'altro. E' una di quelle stesse isole di pescatori che mi hanno tanto scosso un anno fa, guardando il documentario “L'incubo di Darwin”, denuncia aperta dello scempio ecologico e umano che si compie ogni giorno proprio qui, e che ognuno di noi contribuisce inconsapevolmente ad alimentare. E' assurdo essere qui ora, toccare con mano quelle stesse immagini...

Le multinazionali hanno introdotto da qualche anno il Persico del Nilo nelle acque del lago.

In poco tempo, il secondo lago più grande del mondo, con tutta la sua immensa biodiversità, ha dovuto soccombere alla nostra fame di pesce a buon mercato: la maggior parte delle specie endemiche del lago si sono estinte, l'ecosistema è stato completamente stravolto. E i persici hanno continuato a crescere e moltiplicarsi.

La popolazione del posto ha cominciato a dedicarsi completamente alla pesca e alla lavorazione del pesce ed in poco tempo sono sorte queste isole-baraccopoli, in cui la gente vive in condizioni disumane. Spesso i pescatori muoiono sbranati dai coccodrilli, lasciando alle proprie mogli l'unica alternativa di prostituirsi per vivere, e incrementare così ancora di più la diffusione l'AIDS, che in questa zona sta diventando una specie di macabra costante.

E che cosa ottiene questa gente in cambio del proprio sacrificio? Armi.

Armi per le loro guerre. Interi cargo pieni di armi arrivano dall'Occidente, vengono svuotati e poi riempiti di tonnellate di pesce per le nostre tavole inconsapevoli. Poi ripartono come se nulla fosse.

Il nostro barcaiolo si sofferma solo un attimo, da lontano. Non sia mai che il turista di turno possa rimanere turbato in qualche modo...

In effetti, se non “sai già”, non hai modo per capire e nemmeno soltanto per intuire qualcosa.

La barca scorre via veloce e resti – ancora una volta- inconsapevole di ciò che sta succedendo.


All'improvviso, nel bel mezzo dell'immensa distesa di quel falso-mare, la barca si ferma.

Attimo di panico. E ora? Rotto il motore? Benzina finita? Vuole derubarci e buttarci in pasto ai coccodrilli?

No. Ci guarda sorridendo e ci annuncia che, in quel preciso istante, stiamo galleggiando sull'equatore...


1 commento:

Anonimo ha detto...

per te l'equatore è diventata la via dell'orto. Bacio