Contrasto

Non so bene come sia successo, ma improvvisamente ci ritroviamo a cena in uno dei ristoranti più chic dell'Uganda, dentro il casinò, con l'ambasciatore italiano, il suo stagista, i due Caramba e un industriale italiano (Bertolli.... quello dell'olio!) che ha più soldi che capelli in testa.
Nessuno si era preso la briga di avvertirci DOVE saremmo andati a cena, e appena mettiamo la testa fuori dai vetri nero-fumo del macchinone fantascientifico di Enrico uno sguardo pieno di panico scorre rapido tra me e Raffa: abbiamo realizzato che abbiamo addosso gli stessi vestiti sporchi e le stesse scarpe vecchie che ci portiamo dietro da un mese...
Senza dire una parola abbiamo condiviso per qualche secondo il peso di quel mattone sullo stomaco, il senso di inadeguatezza e di imbarazzo. Ma, magicamente, è durato solo un attimo. La situazione, il luogo e la compagnia sono così irreali, così assurdamente lontani da quello che abbiamo visto e vissuto nell'ultimo mese che è come se il cervello accantonasse la percezione di tutto in un angolo. Il contrasto sotto i nostri occhi è troppo forte per riuscire a curarci più di tanto del nostro aspetto.
Bellissimo ristorante. Cucina italiana ma stile orientale, ampio patio con morbidi tendaggi, camerieri in livrea, piccole candele profumate e un tappeto d'erba su cui vorrei tanto potermi sdraiare. Bertolli fa sfoggio delle sue nozioni di galateo e decide la disposizione dei posti a tavola: l'ambasciatore al centro, noi due donne ai lati, lui stesso di fronte all'ambasciatore, lo stagista alla sua sinistra e i due carabinieri dall'altra parte. Io intanto comincio a cercare di prendere il tutto con ironia.
Dopo il vago imbarazzo del “e-ora-cosa-scelgo-dal-menù”, la cena scorre via lenta, fra surreali discorsi di investimenti finanziari, racconti di ville alla Karen Blixen e battute di caccia a cavallo nella campagna keniota, spaccati di vite inimmaginabili attraverso l'Africa, e sottili autoesaltazioni della propria ricchezza... (del tipo: “sai, far studiare mia figlia a Cambridge mi costa 70mila euro all'anno”...). Ma devo ammettere che il vecchio Bertolli, nonostante soldi e potere (è a capo della forza di sicurezza che protegge tutti i corpi diplomatici presenti in East Africa), ha le palle. A 25 anni si è innamorato dell'Africa e ha deciso di mollare l'azienda di famiglia e tutta la sua ricchezza pur di poter passare il resto della sua vita in Kenya. E così ha fatto. La famiglia lo ha diseredato completamente e lui è ripartito da capo quaggiù, creandosi una ricchezza ancora più grande con l'olio di palma. E' buffo, ha passato talmente tanti anni parlando inglese che il suo italiano è irriconoscibile. Le parole sfuggono alla memoria, l'accento è strascicato in stile londinese, i modi sono calmi e misurati e non c'è più neanche un vago ricordo della gestualità italiana. In effetti Bertolli sembra più un Lord inglese che un industriale di Lucca...
Io li guardo e li ascolto tutti come attraverso un vetro. E mi chiedo sempre più pressantemente che diavolo sto facendo lì.
Dopo cena ci spostiamo di là al casinò, perché l'ambasciatore vuole fare la sua salubre e immancabile puntatina al Blackjack.
Quella sala è Il Contrasto per antonomasia, l'emblema delle incolmabili distanze, la consapevolezza lucida dell'irrimediabilità del mondo, il cazzotto alla bocca dello stomaco...
Misteriosi e ben vestiti personaggi europei, filippini, indiani, siedono serenamente davanti ad una roulette o ad un tavolo da Blackjack, perdendo milioni in decine di minuti, sotto le mani abili di croupier ugandesi in doppio petto e guanti bianchi, che sembrano aver dimenticato (anche loro)
per una sera le atrocità e le pene del proprio Paese.
Lo stesso ambasciatore italiano perde sotto i nostri occhi almeno 6mila euro in meno di mezz'ora. “Stasera non sono molto fortunato”, dice alzandosi dal tavolo con uno sguardo che è più o meno lo stesso che potrei avere io dopo aver pestato una cacca di topo.
Ed è impossibile fare a meno di pensare a quanti sono quei soldi... fuori da lì, da quelle quattro ridicole mura di lussuoso e assurdo isolamento.
Penso alla faccia di Manuela, alla fame di Fortunate, alle costole di Christine, alla mano di Sebastian, alle scuole, agli ospedali, alle pompe per l'acqua...
Mi viene una rabbia così forte che vorrei salire in piedi su uno di quei tavoli e mettermi a urlare “Brutti stronziii” a tutta la sala.
Forse ho perso il senso della misura, ma mi viene proprio da vomitare.

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