Christine

Tutte le mattine facciamo una piccola spedizione all'ospedale più grande. Anne, Patricia e Christine sono ancora ricoverate lì, con malaria, dissenteria e vomito. Le altre tre stavano meglio e le abbiamo accompagnate a casa il giorno prima, avvolte nei loro piccoli fagotti di coperte.

Anne sembra soffrire meno delle altre; sorride un po', si muove, gioca per terra sulla stuoia.

Patricia invece è triste, calda, sudata. E' sempre distesa sul letto, con l'agocannula della flebo brutalmente infilata nella tempia. Avrà circa un anno e ha quello sguardo già visto tante volte, gli occhi seri, severi, tristemente profondi. Come tutti i bambini qui, soffre senza piangere.

Poi c'è Christine, che è un piccolo scheletro color cioccolato. Ha 4 mesi, ma da quanto è magra ne dimostra almeno la metà. Si vedono le costole, lo sterno, ogni singolo osso del corpo. E le braccia sono talmente sottili che hai paura di spezzarle prendendola in collo; la loro pelle sembra un vestito troppo grande, è raggrinzita attorno all'osso.

Ma lei, nella sua magrezza sconsolante, nella sua sofferenza contagiosa che ti arriva all'anima, sorride. Ti guarda con due occhi curiosi, poi spalanca la sua piccola bocca senza denti e ti sorride.

Ed è come se quel sorriso spostasse tutto il tuo baricentro, come un improvviso vorticare di tutto ciò che conosci. Tutti i tuoi pezzi si mescolano e si ricombinano in un altro modo, e molte delle cose che credevi di sapere trovano altri significati.


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